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da poco a nulla

Stringo la maniglia per aprirmi un varco
Oltre il vuoto sinfonie Morgane
mi mangerò le unghie per non rodermi il cervello
assediato parte  a parte sola una grolla per scaldare
lazzi di compagnia

sento le mani divenire ali prendono Il volo
mi fanno sentire una ragazzina infatuata
che profumo di buono nell’aria tersa
sono precipitato le polveri sottili
facciamoci Stretti
diciamoci del bello e torneremo argilla
da modellare stavolta Senza imperfezioni

la libertà che vola si cuoce al sole
qui non ci sono serpenti
si muore  qualche volta

sorretti non fa poi tanto male

Grazie

Dico grazie al fischio del merlo
che ha il nido sul mio tetto
a questo sole pallido che ha la forza
di allontanare le nubi e a tutti voi
che vi tengo sul palmo come granati
preziosi pur se sbrecciati grani
della lunga collana di mia nonna
che ha giocato con me e che non ho
ringraziato grazie per la cura
grazie per la tenerezza e non dite
che sono forte sono petalo d’ottobre
ed ero in fiore già a primavera.

Siate fieri e lasciatemi un sorriso
vi abbraccio come figlia e come madre
nascondo il luccichio del pianto
che non è perla solo acqua salsa.

Eppure è bene che ci sia
quasi felice.

Fragilità

Devi Essere tenero con me

Sono Fatta di vetro Sottile

puoi VEDERE ATTRAVERSO

i mari Che ho Attraversato

Mi Sono vuotata a Poco a Poco

Devi Essere tenero con me

cara vieni La Stella Che rifletto

Ed E APPENA notte.

Più non Sono niente non appartengo

Dimmi Che mi Tieni

non lasciare Che mi infranga.

Eros e Polis

Claudia Zironi, Eros e polis , Terra d’ulivi

Claudia, non so se più o meno civettuosamente, va dicendo che non scrive, smentendosi poi con la stampa di questa o di altra opera. Gli esiti della sua fatica letteraria sono felici, padroneggia materia e stilemi, piega il verso al suo volere.
La sua ultima opera ha un titolo intrigante che invita il lettore a porsi ad un’immediata lettura con l’intento di cogliere come sia state coniugati i due lessemi., così ricchi di mito e di polisemie.
Subito la mente ci corre ad Eros, dio dell’amore, contrapposto a Thanatos, dio della morte; Eros è pulsione vitale, incontenibile , che esplica il suo fine nel rapporto amoroso-sessuale .
Figura positiva, beneaugurante. Polis è parola greca ma già era diffusa con il significato di comunità prima ancora di città; è termine che lungo il corso del tempo è scaduto nella significanza; la comunità con i suoi valori condivisi e comunque aperti ai mutamenti del volere dei cittadini, è diventata espressione delle nostre nude città, spesso ricche e opulente che celano abissi di lordure e di misfatti. La nostre polis sono un aggrovigliato di cemento, sono solitudine e gracchiante, ininterrotto ciarlare, rumori offensivi, nessuna attenzione all’altro, scarsa convivialità, silenzio che si spalanca all’interno delle persone.
Dunque Eros, si contrappone a polis , ma Eros all’interno della moderna polis quali fattezze assume , quali aspetti è limitato a mostrare? Di lui rimane l’aspetto sessuale, ma frettoloso; un sesso praticato con violenza o con silenzio, perfino con svogliatezza. E’ scarnificato, è anche esercizio ginnico, dà corpo a fantasie, inganna e ruba affetti. L’aspetto amoroso è fragile, si spezza senza una ragione consistente, fugge lasciando l’amante abbandono alla mercé della polis.
Chi pensa di trovare versi erotici rimarrà deluso; vi sono poche poesie autenticamente erotiche perché la poesia di Claudia è poesia di un amore concluso con un addio . La poetessa usa sempre la prima persona, si fa protagonista di empito e di un vuoto; lei è la perdente, a lei sono rimasti i ricordi. Ma sappiamo che i ricordi dell’amore perduto sanno di salso per le lacrime versate. Eros , penso, dica più di Amore; essendo pulsione vitale, quando è allontanato indebolisce quello stesso slancio fino a far desiderare il suo opposto.
Si legga la poesia di pagina 54, drammatica e credo autentica; inizia con “ Accoltellami squarciami fammi a brandelli / appendimi a piedi in giù come si fa con i maiali /………………./ Finiscimi perché non sopporto / questo tuo amore blando/ che sfinisce di menzogne.”
Non ci è difficile immaginare la distanza in cui si collocano Eros e Polis : vita e menzogna.
Fra di loro non può durare l’incontro e quanto di forte e generoso, di oblativo c’è nell’amore, viene dalla donna, in questo caso che si è lanciata nella danza sentimentale pur conoscendone la deriva, disposta a darsi quanto è sopportabile di sofferenza.
Alla fine abbiamo letto un libro quasi casto dell’amore finito, e il verso accompagna il ritmo come scaturisse spontaneamente da una sorgente non ancora esaurita.

Narda Fattori

LA LUNA

La luna

Se ne sta a guardarci fosca
non l’abbiamo rispettata
è sempre imputata nei tribunali
degli amanti in disarmo

deve sventolare su bandiere
lorde di sangue la sua pallida
luce sfruttando per incavi e deserti
quarto nascente a partorire
dilemmi fantasie morgane
non sono mai riuscita ad incontrare
le lune leopardiane libere
le loro distanze senza consolazioni
abbracci di raggi omeopatici
del sole che prima o poi verrà.

narda fattori

VERSANTE RIPIDO” “LA LUNA”

Digressione

Dalla poesia di Giovanni Pascoli “ La cucitrice “ in Myricae pubblicata da “Il Vicolo” Cesena nel catalogo “Pascoli”

 

CUCE IL POETA

 

 

Corrono sul foglio lemmi neri

parole a capo sulla carta bianca

cuce il poeta dentro i versi

la sintassi impervia dell’universo

 

cuce e cuce e trae solo segmenti

scrittura che vuol dire e che non dice

scocca il tempo svuota il suo forziere

cuce il poeta mentre si fa scuro

il senso lì a un passo s’è nascosto.

 

Già ad occidente annotta e righi

neri di rami si stagliano sul rosso

di un tramonto che fiamma oltre il dosso

 

ma qui sfiammano le visioni

in foto in bianconero e i pensieri

anche i ricordi anche l’inchiostro

s’aggruma in metaboliti da spurgare

                            prima che faccia sera

 

ma cuce il poeta cuce di poco senno

l’ultima ora amara – posa il capo

sul foglio e pare che dorma infine

per una tregua che forse non arriverà

                                              a domani.

 

Narda Fattori

 

Di notte

DI NOTTE

E’  l’ora crepuscolare quando i lampioni disperdono in alto la loro luce e in basso tutto si fa rarefatto: pochi cani al guinzaglio, poche coppiette, auto veloci per il rientro , per una nuova meta, per un’attesa soddisfatta, per un’attesa delusa. Salgo sull’auto stancamente, quasi come dopo una nottata di lavoro; mi aspettano il solito giro per la città notturna, le soste stabilite, le clienti fedeli e quelle  sconosciute che hanno sempre il trucco più accentuato, la gonna ancora più corta, lo sguardo provocante, la sigaretta accesa. Mi farebbero sorridere se non fosse che ormai conosco il solito tragitto:dalla strada di periferia allo squallido motel lungo l’imbocco dell’autostrada. C’erano anche eccezioni: escort eleganti, compassati signori in grigio o in blu che avevano lasciato detto di un consiglio d’amministrazione, di un pocherino con gli amici, di una riunione politica,….

 

Sono puttane da strada le clienti consuete di un taxi driver; magari avrei potuto continuare a fare l’impiegato del catasto, orario diurno, comodo, tempo libero e stipendio che non bastava.

Non sarebbe bastato dopo la separazione con l’assegno di mantenimento per Erica e l’affitto del monolocale. Un matrimonio fallito diventa quasi sempre una vita fallita. Con questo taciturno, quieto lavoro, riesco a sbarcare il giorno perché la vita non la sbarco più. Rientro ,  colazione e poi a letto; tapparelle sempre abbassate, ogni luce fuori. Una cena frugale la sera “Da Alda”, trattoria di cibo genuino a basso prezzo. Nella trattoria i rumori sono come soffocati, nessuno ama cenare solo così si affonda il viso sopra il cibo, quasi dentro il bicchiere e si fissa attoniti il televisore, sempre acceso, a basso volume. Nessuno ama cenare solo con i propri gesti e ruminare pensieri inerti.

Un caffè amaro e poi una scorsa veloce ai giornali, un salto al supermercato per la spesa, uno sguardo ai negozi. Mi piacciono i negozi eleganti con la vetrinista che sapientemente ha agghindato  i pupazzi di polistirolo. Si è fatta intanto notte fonda,  metafora della vita che conduco.  Nessuna stella che brilli per una fantasticheria, piove una luce bianchiccia sul silenzio rotto da voci di avvinazzati, laggiù nel vicolo una rissa, vedo il lampo della lama di un coltello, sento stridere dei freni,…

 

Inizia la notte del lavoro, dello squallido mercimonio fra quelle poverette, nere e bionde, che hanno solo da farsi portare via la dignità. Ormai sulla strada raccolgo solo nere e ragazze dell’est, a volte vedo dei lividi sulle braccia, sul collo,.. le picchiano queste nuove schiave, e io non faccio niente , anzi sono il mio pane e il mio companatico, sono i libri di Erica , le sue belle gonnelline, la lucentezza dei suoi capelli… Ci manca solo che stasera mi mettessi a fare il moralista, proprio io , che ho bruciato giorni e anni avidamente, quasi che la vita fosse una corsa a premi . Ora sono al capolinea e non ho niente, niente, solo un gran vuoto e forse una piegolina di pietà leggera come un fil di fumo. Ma chissà a chi era rivolta quella piaghetta , se alle povere sfruttate o alla sua scempia vita.

 

La notte si inoltrava ispessendo le ombre, squagliando trucchi, appesantendo pensieri, sparigliando giochi. Erano anni che non giocava più. Da quando Roberta l’aveva cacciato di casa lasciando una sacca di indumenti sul pianerottolo e mettendogli fra le mani un foglio con l’intestazione di un avvocato che gli intimava di presentarsi il tal giorno, alla tale ora, nel suo studio.

Sì , aveva smesso di giocare. Niente pocherino, niente flirt, niente calcetto, niente happy hour, nessuna risposta agli squilli del cellulare. Dire che non se lo aspettava era squalificarlo, ma non credeva che Roberta veramente, dopo tanto minacciar, avrebbe tuonato. Si trovò a barcamenarsi fra udienze e giudici; cedette subito, voleva solo continuare a vedere la bambina. Erica allora aveva nove anni, era già bellissima.

 

Fece scendere la signorina ormai arrivata e le indicò il tassametro per il pagamento.

Tre corse fatte, giornata quasi raggranellata. La notte i taxi si pagano più cari. Aveva pensieri senza fissa dimora, venivano e se ne andavano prima di essere analizzati, di assumere forma e sostanza, pensieri fiochi, assai vicini all’ombra. Ma chi vive di notte mica potrà avere pensieri radiosi, caldi o anche soltanto tiepidi.

 

Aveva scelto la solitudine, volontariamente e forzosamente. I vecchi amici avevano orari “regolari” e regolati; lui non doveva dar conto a nessuno, solo ad Erica, il fine settimana che decideva di passare con lui. Decideva…. Erica aveva ormai quindici anni e in cima ai suoi interessi c’erano gli amici, i social network, la musica, la scuola, una marca di scarpe, un modello di giubbotto, lo shopping…. , pronunciava quella parola allungando tutte le lettere, come fosse una corsa.

La stava perdendo man mano che cresceva. Sapeva che la ragazza gli voleva bene, ma ormai la sua vita apparteneva ad altri, ad altro  ed era già fortunato che era cresciuta senza troppi capricci, senza oscurità nel cuore. Merito di Roberta? Chissà, forse un po’ anche merito suo : non si erano permessi di fare della figlia il loro campo di battaglia.

Quando declinava un incontro , diceva:” Mi spiace, papà”.

Quanto tempo ci sarebbe voluto perché dimenticasse di dire.”Mi spiace, papà.” ?

 

Aveva letto in certi suoi lunghi  silenzi un languore nuovo, forse si stava innamorando, oh non avesse a soffrire, non avesse, ma lui era già vinto, non poteva combattere nessuna battaglia, neppure ripararla dalle immancabili staffilate che la vita riserva, spesso immeritate e inaspettate.. E poi i figli, come diceva il poeta?, sono frecce scoccate dall’arco, se cerchi di fermarle ti ferisci e rischi di romperle. La ricordava , seduta sul divano, con il computer sulle ginocchia, mentre con una mano si rigirava un ciuffetto dei lunghi capelli e gli occhi scorrevano sullo schermo. Sguardo scuro, intenso, labbra tumide, priva di trucco, una ragazzina dai lineamenti armoniosi,  spalancata sulla vita.

 

Senti aprirsi lo sportello posteriore, sentì quasi un ansito mentre si accomodava seduta :

“Portami a 54 di Via Valcareggi. Svelto.”

Altro giro, altro regalo, gli saltò in testa. Ma lui non aveva regali da fare e alla poveraccia, lì dietro, pareva che i suoi regali finissero in  male mani. Aveva capelli biondi , pesanti, lunghi, rossetto fuori labbra, il corpo seminudo e novembre già faceva battere i denti. Accese il riscaldamento, le porse uno specchietto.

La ragazza lo guardò sospettosa. Lui avviò l’auto con dolcezza, il traffico era inesistente .

Fu uno spostamento di silenzi interdetti: la ragazza sembrava desiderasse parlare, lui aveva l’espressione chiusa. Prima di scendere gli restituì lo specchietto. Grazie.

 

Fece manovra e lentamente tornò nella sua postazione di sosta.

La gran parte della notte ormai era passata e dal tracollo della sua vita neppure quella notte aveva salvato niente. Si stirò, raddrizzò le spalle, gesti meccanici, dopo ore seduto al volante, quindi si abbassò e appoggiò la testa  che pulsava furiosamente. Non voleva ingurgitare ora il tranquillante, non avrebbe dormito durante il giorno. Chiuse gli occhi e si impose di lasciar scorrere i pensieri come l’acqua nel rigagnolo dopo la pioggia. Laggiù, nella fogna.

Senti bussare al vetro:

“ Signor taxista, signore…?”

Aprì gli occhi : Erica era di fronte a lui, lo chiamava signore, era bellissima, con il trucco un po’ pesante, è vero, e il viso stanco, ma sorrideva . Era venuta da lui.

Come da lui? Erica doveva essere a letto a dormire e a sognare. Che ci faceva in quella via di mal frequentata , pericolosa per una donna che avesse avuto ben più anni ed esperienze di lei…

Aprì di slancio lo sportello.” Erica. Che ci fai qui?”.

La ragazzina lo guardò stralunata e indietreggiò. “Non sono Erica. Mi deve avere confuso. Io voglio andare solo al –  gettò uno sguardo veloce su un pezzetto di carta, “ Motel Plaza in via Broggi. Mi può portare? E’ troppo tardi?” Aveva un accento slavo ora che la ascoltava lucidamente.

Chissà come aveva fatto a scambiarla per sua figlia: sì l’età, i capelli, la corporatura, i modi gentili…

Era ridotto veramente male. Scambiare una puttanella per sua figlia.

 

Si girò a guardarla: non era sua abitudine osservare le clienti.. La ragazzina sedeva composta, con un’aria da cagnolino spaurito; doveva essere nuova e fare quel mestiere da poco tempo. Le si leggeva ancora nelle guance pienotte il latte bevuto fino a quella mattina.

“Chi ti riporta dove dormi?”, chiese.

“ Non so. Io… troverò qualcuno…”

“Hai almeno un posto dove tornare?” le chiese bruscamente.

“ Sto in una stanza , con Ivana. E’ un po’ lontano, però sto lì provvisorio. Cerco un lavoro.”

Proprio ingenua, una bambina.

Intanto il taxi aveva accostato al Motel.

“Vuoi che ti aspetti?” le chiese.

Lei lo guardò con incerto sospetto.

“Io non ho molti soldi e non so a che ora ho finito”

“ Non c’entrano i soldi. Se vuoi ti aspetto e posso anche ospitarti  finché non trovi un altro lavoro. Non pensare che ti voglia sfruttare, da te  non voglio niente. Capito! Niente”.

In che accidenti di situazione andava a cacciarsi. Come faceva a tirarsi indietro   ora. La ragazzina lo salutò con uno sguardo luminoso. Gli disse: “ Allora ciao” e alzò la mano nel saluto.

Beh, di casini ne aveva fatti tanti, l’avrebbe aggiunto un grano al rosario. Ma non doveva fare errori. La ragazzina si fidava di lui…poteva andarsene e nulla sarebbe mutato e non ci sarebbero stati problemi.

 

Ormai sopra le nubi traluceva un chiarore vago, né alba, né aurora.

Fra poco sarebbe esploso il giorno .

 

Narda Fattori

dei tempi

Canzone degli addii

 

 

Ci siamo abbracciati sotto l’arco

che s’apriva nella piazza

soli noi come fummo spesso

e insieme a tanti nel nome faticato

dell’amore

e l’addio è stato una formalità

c’era un a rivederci fra le stelle

nella notte fredda nitida e brillante

che ci trapassava il petto

 

non dolore non doveri non averi

un addio senza colonne da ragionieri

così come fanno i ragazzi che

si piangono sulle spalle e s’aggrappano

alla maglia quasi forse un’ancora

dopo l’addio nel mare aperto

alle burrasche alle onde alte

allo strillo di gabbiano sgraziato

sopra il ventre azzurro

che ci volle uomini e pesci

uccelli e insetti fiori e biancospini

 

ci siamo abbracciati nel sonno

ancora tante volte per ritrovarci soli

in un’alba irriverente che non si cura

della tazzina sbrecciata  del caffè amaro

anima mundi l’amore con dentro

tutto il dolore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Canale di Sicilia

 

 

 

I pescecani sentono da miglia e miglia di distanza

l’odore della paura che viene dai disperati

 

si imbarca acqua copriti sorella e tu bimbo

qui stretto fra le mie braccia – chiudi gli occhi

non guardare in faccia la morte . Ha gli occhi cattivi

noi non abbiamo più niente per quietare la sua fame.

 

Da schermi digitali quasi in diretta scene di delitto

cadono ad uno ad uno poi a gruppi fra flutti scuri

migranti dalla pelle nera bellissimi occhi di bambini

pieni di stupore –non avevano saputo che litalia

entrasse nei polmoni a riempire alveolo su alveolo

senza respiro ma  in tempo per vedere il tuo braccino

in bocca al pescecane.

 

E poi il buio. O canti della mia gente o danza di piedi

o fame e zanzare e mosche vacche dai fianchi magri

e le mie mamme -dove sono le mamme ………

 

Ma tu griot continua a cantare canta non cessare

la poesia dei semplici ha vite da salvare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Al tempo del Pifferaio

 

 

Non respingete questa bandi di fiati

un po’ stonati che procede saltellando

per accompagnare il pifferaio di Hamelin

 

sono morti i topi sono morti fra i flutti

invano cercando una riva da risalire

hanno ingoiato do re mi la si diesis

acuminate biscrome e semibrevi

 

sono stati in massa trasportati là dove

finisce il fiume nelle forre dove interrato

corre fine alle foibe per l’ultimo squittio

 

o poter respingere questa banda di fiati

con naso rosso dei clown la bocca grande

e bianca che sogghigna mentre segue

la processione ridente dei bambini

che la musica dei pifferaio ha incantato

 

ad uno ad uno nel fiume si sono gettati

in una gara di tuffi a morte gridando gioia

e i clown hanno lanciato i nasi e i fiati

 

le lacrime finalmente hanno lavato la biacca

i bambini vanno cadaveri alla foce

 

il pifferaio non ride neppure s’addolora

ho solo raccontato la fiaba fino alla bad end.

 

 

dei tempi

Canzone degli addii

 

 

Ci siamo abbracciati sotto l’arco

che s’apriva nella piazza

soli noi come fummo spesso

e insieme a tanti nel nome faticato

dell’amore

e l’addio è stato una formalità

c’era un a rivederci fra le stelle

nella notte fredda nitida e brillante

che ci trapassava il petto

 

non dolore non doveri non averi

un addio senza colonne da ragionieri

così come fanno i ragazzi che

si piangono sulle spalle e s’aggrappano

alla maglia quasi forse un’ancora

dopo l’addio nel mare aperto

alle burrasche alle onde alte

allo strillo di gabbiano sgraziato

sopra il ventre azzurro

che ci volle uomini e pesci

uccelli e insetti fiori e biancospini

 

ci siamo abbracciati nel sonno

ancora tante volte per ritrovarci soli

in un’alba irriverente che non si cura

della tazzina sbrecciata  del caffè amaro

anima mundi l’amore con dentro

tutto il dolore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Canale di Sicilia

 

 

 

I pescecani sentono da miglia e miglia di distanza

l’odore della paura che viene dai disperati

 

si imbarca acqua copriti sorella e tu bimbo

qui stretto fra le mie braccia – chiudi gli occhi

non guardare in faccia la morte . Ha gli occhi cattivi

noi non abbiamo più niente per quietare la sua fame.

 

Da schermi digitali quasi in diretta scene di delitto

cadono ad uno ad uno poi a gruppi fra flutti scuri

migranti dalla pelle nera bellissimi occhi di bambini

pieni di stupore –non avevano saputo che litalia

entrasse nei polmoni a riempire alveolo su alveolo

senza respiro ma  in tempo per vedere il tuo braccino

in bocca al pescecane.

 

E poi il buio. O canti della mia gente o danza di piedi

o fame e zanzare e mosche vacche dai fianchi magri

e le mie mamme -dove sono le mamme ………

 

Ma tu griot continua a cantare canta non cessare

la poesia dei semplici ha vite da salvare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Al tempo del Pifferaio

 

 

Non respingete questa bandi di fiati

un po’ stonati che procede saltellando

per accompagnare il pifferaio di Hamelin

 

sono morti i topi sono morti fra i flutti

invano cercando una riva da risalire

hanno ingoiato do re mi la si diesis

acuminate biscrome e semibrevi

 

sono stati in massa trasportati là dove

finisce il fiume nelle forre dove interrato

corre fine alle foibe per l’ultimo squittio

 

o poter respingere questa banda di fiati

con naso rosso dei clown la bocca grande

e bianca che sogghigna mentre segue

la processione ridente dei bambini

che la musica dei pifferaio ha incantato

 

ad uno ad uno nel fiume si sono gettati

in una gara di tuffi a morte gridando gioia

e i clown hanno lanciato i nasi e i fiati

 

le lacrime finalmente hanno lavato la biacca

i bambini vanno cadaveri alla foce

 

il pifferaio non ride neppure s’addolora

ho solo raccontato la fiaba fino alla bad end.

 

 

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